Un percorso di musica, parole e immagini intorno alla figura del cantautore milanese e della Milano che egli ha raccontato nelle canzoni fin dagli anni ’60.
La Milano dei quartieri con i suoi mille personaggi stravaganti e surreali: i “pali” dell’Ortica, quello che andava a Rogoredo a “cercare i sò danée”, le balere di periferia dove c’è sempre chi “per un basin” avrebbe dato la vita intera. I sogni e le miserie di chi sta ai margini di una società che corre troppo veloce, incurante degli ultimi. Il boom economico con le sue contraddizioni, con “Vincenzina” che vuol bene alla fabbrica, quello che “prendeva il treno per non essere da meno” e chi davanti a un documento di residenza “gli viene in mente tutta l’infanzia”. C’è chi insegue una storia d’amore: “roba minima, s’intend, roba de barbun”, e poi c’è chi nonostante tutto ride, e ride di gusto perché “ sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re, al ricco e al cardinale”.
Jannacci è stato sempre dalla parte degli ultimi, dei balordi, li ha cantati con il cuore in gola, nei suoi versi c’è la speranza che non si arrende.
Proprio come un clown, ha la capacità di stupire, di creare atmosfere poetiche, di inventare incantesimi, di far ridere e piangere allo stesso tempo.
Canzoni comiche e malinconiche, ovvero malin-comiche. Le canzoni sono introdotte, seguite, contaminate dalle parole di alcuni autori milanesi che, per assonanze logiche e illogiche, danno vita a una carrellata di personaggi eccentrici, surreali, timidi o inquieti, ma sempre densi di quella umanità semplice e schietta di cui erano ricche le periferie popolari e le case di ringhiera della Milano negli anni 50-60.
Di e con: Stefano Orlandi. Contaminazioni letterarie di Beppe Viola, Franco Loi, Giovanni Testori, Walter Valdi. Chitarra: Massimo Betti. Contrabbasso: Stefano Fascioli. Fisarmonica: Giulia Bertasi. Scene: Maria Spazzi. Costumi: Federica Ponissi. Luci: Alessandro Verazzi. Tecnica: Roberta Faiolo. Una produzione ATIR Teatro Ringhiera.